La vita – allarmante, inaspettata, sconosciuta

La vita – allarmante, inaspettata, sconosciuta

Troverete, nei libri, istruzioni per l’uso di distanze e attese; anche per l’uso del vento, quando soffia molto forte, e della nostalgia, se vi assale. Istruzioni, volendo, per l’uso del profumo di biancospini, o per il recupero del vostro cervello sulla Luna, fosse finito là. Ecco, quasi tutto ciò che Astolfo, nell’Orlando Furioso, trova nel «regno de la luna», nei libri terrestri, da qualche parte, è illustrato:

«Le lacrime e i sospiri degli amanti,
l’inutil tempo che si perde a giuoco,
vani disegni che non han mai loco,
i vani desideri sono tanti,
che la più parte ingombran di quel loco:
ciò che in somma qua giù perdesti mai,
là su salendo ritrovar potrai» .

L’adulazione, il potere, la bellezza, i giorni che passano, compreso il senno sprecato a inseguire amori, ricchezze, o «scorrendo il mar». Tutte le cose che perdiamo e di cui abbiamo bisogno. Sono lì. Un po’ come nei libri. Forse per questo riescono a dare conforto, anche parlando di cose tristi. Sentiamo che nel loro strano spazio-tempo le cose hanno una durata diversa da quella in cui sono costrette in una vita singola. Possibile? Ciò che sembrava perduto definitivamente, in modo imprevedibile, ritorna. Ecco. Ma questa non era una cosa mia? Perché è qui? Come fa l’autore a sapere di me?
Il senso di qualcosa che si eterna appartiene solo all’arte. Se ne accorge Lily, dopo la morte della signora Ramsay, nello straordinario romanzo di Virginia Woolf Al faro:

«Guardò il quadro. La sua risposta, quasi di sicuro, sarebbe stata – “io”, “tu”, “lei”, passiamo, dileguiamo. Niente resta. Tutto muta. Ma le parole no, né la pittura. Finirà lo stesso appeso su in soffitta, pensò Lily. Oppure, avrebbero buttato la tela arrotolata sotto un divano; ma anche così, anche di un quadro così, era vero. Anche di questo scarabocchio, non tanto del quadro in sé, forse, ma di quello che tentava, si poteva dire che “sarebbe rimasto per sempre”: questo voleva dire lei, o perlomeno, visto che le parole pronunciate suonavano perfino a lei troppo presuntuose, voleva suggerirlo, senza parole; quando, guardando il quadro, si accorse con sorpresa che non lo vedeva più. Gli occhi le si erano riempiti di un liquido caldo (non pensò alle lacrime, dapprima), che senza disturbare la fermezza delle labbra rotolava giù per le guance, e annebbiava la vista. Per tutto il resto aveva – oh, sì – il pieno controllo di sé. Piangeva forse per la signora Ramsay, senza coscienza di nessuna infelicità? Si rivolse ancora una volta a Carmichael. Ma che cos’era? Che significava? Le cose potevano tirar su le mani, e afferrare? la lama tagliare? il pugno stringere? Non c’era più nessuna sicurezza? Non c’era modo di imparare a memoria le usanze del mondo? Non c’era una guida, un riparo? Era tutto un miracolo, un buttarsi giù dall’alto di una torre, nell’aria? Possibile che anche per le persone avanti negli anni così fosse la vita – allarmante, inaspettata, sconosciuta? Per un attimo sentì che se tutti e due si alzavano, qui, ora, sul prato, esigendo una spiegazione sul perché fosse così breve, così inspiegabile; se la esigevano con violenza, come possono fare due esseri umani perfettamente equipaggiati, a cui non si deve nascondere nulla, allora la bellezza si sarebbe ravvolta in sé stessa, lo spazio riempito, quei vuoti ghirigori avrebbero preso forma. Se avessero gridato forte, la signora Ramsay sarebbe tornata. “Signora Ramsay!” disse forte, “signora Ramsay!”. Le lacrime le correvano sul volto».

 

[trad. di Nadia Fusini]

 

 

5 dicembre 2015

Si trova in: Woolf