Svegliarsi negli anni Venti

Svegliarsi negli anni Venti

“Svegliarsi negli anni Venti” l’ho immaginato come un corridoio spazio-temporale tra due secoli – futuristi, futurocrati, feste dell’Età del jazz e aperitivi negati, Thomas Mann e la rabbia sociale, Kafka e gli spettri di WhatsApp.

C’è una scena di un romanzo di Julian Barnes, “Il senso di una fine”, che amo molto. Un ragazzo è alla cattedra per essere interrogato.

“Allora, sentiamo Marshall. Come descriverebbe il regno di Enrico VIII?”.
Pausa, silenzio. Sollievo dei compagni di classe. Marshall tace ancora. Poi, finalmente: “Un tempo inquieto, signore”.
L’insegnante non è soddisfatto: “Le dispiacerebbe approfondire il concetto?”.
Lui, dopo avere annuito, ci pensa ancora un po’ e tira fuori la sua risposta definitiva: “Un tempo molto inquieto”.

 

Qui leggo un capitolo del libro a cui sono molto legato. Racconta di Monet; di quando, cento anni fa, pensò di abbandonare la pittura – e del mondo intorno.